Pensavate che EmberEye fosse sparito? E invece eccolo qua. E non soltanto fa una comparsa in scena inaspettata, ma vi confessa anche di essere un otaku. Oh già. Peraltro un otaku della peggior specie, di quelli che hanno visto centinaia di anime slice of life e che posseggono un harem di waifu che neanche il Pascià! Non avete capito niente di ciò che ho scritto? Bene, contentatevi di essere sani di mente.
Ora che mi sono reintrodotto a dovere, possiamo finalmente dedicarci all’interessante tema di questo speciale che, gran sorpresa, tratterà proprio di animazione giapponese. Più nello specifico, visto che ci troviamo su MMO.it, del curioso rapporto fra cultura pop nipponica e videogiochi massivi.
Ebbene, un paio di mesetti fa, nella noia pomeridiana in cui si cerca di fare qualsiasi cosa pur di non studiare per la prossima sessione esami, misi gli occhi su un anime (leggere “cartone animato giapponese”) intitolato Overlord (che si può guardare gratuitamente su YouTube), apprezzato dal pubblico occidentale e caratterizzato da alcuni elementi che lo rendono particolarmente interessante. Uno di questi elementi, forse quello più prominente, è Momonga, il protagonista: un imponente lich coperto da un’armatura epica, con le mani adornate di anellazzi e due spallacci che fanno invidia ai set di World of Warcraft, così potente che nessun altro essere nel suo mondo è in grado di sopraffarlo. Seriamente, è un protagonista fighissimo e OP… ma da dove proviene la sua forza? E qui si va a toccare il nocciolo del discorso.
Overlord è ambientato a Yggdrasil, un DMMORPG (sostanzialmente un MMORPG in realtà virtuale) fantasy del futuro che nella struttura è molto simile ai themepark dei nostri tempi, con tanto di progressione a livelli, loot, dungeon, raid e così via, e Momonga altro non è che un giocatore. Anzi, Momonga è l’ultimo giocatore. La scena che più mi ha colpito, infatti, ispirandomi a scrivere, è proprio quella con cui inizia la serie: Yggdrasil, a dieci anni dal lancio, sta per chiudere definitivamente i server. Momonga è uno dei top player, parte della migliore gilda del suo server, ed è l’unico a decidere di rimanere loggato fino alla fine, ripensando ai bei tempi che furono e a quanto gli mancheranno le avventure e le amicizie maturate online (qualcuno ha detto Asczor?). L’inghippo è che Momonga non viene sloggato quando dovrebbe, anzi, non riesce a sloggare neanche volendo. Da qui inizieranno le sue avventure, ora reali, nel mondo del suo MMO preferito.
Overlord tocca diversi tasti molto interessanti: dalla già citata nostalgia derivante dallo spendere migliaia di ore su un titolo massivo, al tema della chiusura dei titoli esclusivamente online, un argomento delicato che, se vogliamo, vede gli sviluppatori “uccidere” un gioco (da Star Wars Galaxies ad Asheron’s Call, i casi si sprecano), passando per quel sogno che sfiora la mente di molti adolescenti maturati attraverso un MMO coinvolgente, ovvero il poter vivere dentro al mondo immaginario in cui si è cresciuti.
Ora, non si pensi che suddetta opera di Kugane Maruyama si ponga come trattato filosofico sulla natura degli MMO, soprattutto considerando che nell’anime tutto quello che ho appena raccontato accade nel giro di un quarto d’ora scarso, dopodiché partono tanti di quei cliché dell’animazione giapponese da farvi rizzare i capelli in testa (ma ha anche altri pregi). Bisogna, tuttavia, riconoscere che non sono molti i media che trattano di questi argomenti, al di fuori del giornalismo videoludico e di qualche canale su YouTube, e Overlord dà giusto quella spintarella che porta a riflettere, più di quello che ci si aspetterebbe da un anime pop.
Intrigato dal vedere due dei miei media preferiti intrecciarsi in questo modo, ho deciso di indagare più a fondo sulla questione e mi sono reso conto che il legame appare in più di un’occasione. A tal proposito è impossibile non citare .hack, il franchise che ha popolarizzato non solo il genere isekai (protagonista intrappolato in un mondo diverso dal suo), a cui Overlord appartiene, ma anche il discorso MMO nell’ambito dell’animazione giapponese. Un progetto ambizioso che ha visto, fra il 2001 e il 2002, il lancio quasi in contemporanea di light novel, anime, videogioco e manga. È un’opera di transizione perfettamente inserita fra lo zeitgeist a cui appartengono Dark City e The Matrix e quello del digitale come cosa accettata e ben voluta dal pubblico, della fine degli anni 2000. Il suo successo, inoltre, è stato dettato dalla partecipazione di personalità del calibro di Kazunori Itō (sceneggiatore di Ghost in the Shell), Yoshiyuki Sadamoto (character designer di Neo Genesis Evangelion) e Yuki Kajiura (una delle più prolifiche compositrici di musica da anime della storia del genere), un vero e proprio dream team del campo.
L’input dato da .hack, tuttavia, ha richiesto qualche anno per ingranare. Il silenzio di quel periodo corrisponde in Giappone all’ultimo spasimo di un colosso morente, il genere mecha (gli anime con i robottoni), con titoli apprezzatissimi come Mobile Suit Gundam 00, Tengen Toppa Gurren Lagann e Code Geass, laddove in Occidente ci trovavamo proprio nell’epoca d’oro degli MMO, con Dark Age of Camelot, World of Warcraft, EverQuest II, Star Wars Galaxies, Guild Wars e chi più ne ha più ne metta.
Superata questa fase, ci troviamo ad affrontare quello che gli inglesi chiamerebbero “l’elefante nella stanza” di questo speciale, ovvero Sword Art Online (d’ora in avanti SAO). Partorito dalla creativa mente di Reki Kawahara nel 2002 (probabilmente influenzato proprio dal successo di .hack) sotto forma di light novel digitale, il progetto originale di SAO è rimasto celato ai radar dell’industria dell’intrattenimento sino al 2009, anno in cui la pubblicazione è diventata tangibile, per poi fare il botto dal 2012, con il rilascio di ben due stagioni anime, un lungometraggio cinematografico, una dozzina di manga, diversi videogiochi e un live action (ovvero una serie TV) attualmente in fase di produzione, sotto l’egida di Netflix. Un successo incredibile che ha portato alla commercializzazione e alla popolarizzazione di un nuovo standard specifico, prodotto di una rielaborazione vincente di elementi di titoli precedenti, un po’ come era successo ai suoi tempi con WoW e i themepark successivi. La trama di SAO, infatti, è cosparsa di stereotipi (come il protagonista che non riesce a sloggare dal suo MMO) che si possono oggi ritrovare in moltissimi altri titoli, fra cui proprio Overlord, Log Horizon e Btoom!, per citarne alcuni.
La cosa che, tuttavia, più mi ha stupito nel ricercare notizie su questo argomento è il fatto che di tutti questi titoli, che basano il proprio fondamento su un MMO fittizio, non esista un corrispettivo videogioco massivo nella realtà. A dire il vero di SAO ho scoperto un pessimo action MMORPG free-to-play browser based intitolato SAO’s Legend, ma non sono riuscito a trovare molte informazioni al riguardo e il fatto che il titolo non sia mai citato fra i giochi attribuiti al franchise mi fa domandare se il team di sviluppo, GameSprite, abbia almeno chiesto la licenza ufficiale. Nel complesso ci sono alcuni titoli multiplayer, come .hack//frägment (che comunque ha avuto vita breve), ma niente di paragonabile ad un vero MMO.
Francamente trovo questa situazione tanto bizzarra quanto ironica. Per carità, mi rendo conto che non sia cosa facile trasporre un videogioco in realtà virtuale del futuro in qualcosa di giocabile sui nostri poveri computer, ma non è questo il punto. Sono sicuro che SAO potrebbe benissimo diventare un MMORPG themepark decente, se i proprietari del brand decidessero di investirci un po’ dei loro profitti, e cavalcando l’onda del successo che si porta dietro dubito che avrebbe grandi problemi di utenza. Intesi, siamo nel reame del fanta-sviluppo, però di MMO in stile anime da cui prendere esempio ce ne sono parecchi e alcuni di essi hanno avuto un discreto successo: dal celebre Ragnarok Online ad Aura Kingdom, passando per Closers e Blade & Soul (che è addirittura stato trasposto in vero e proprio anime nel 2014). Quali sono, dunque, le ragioni di questa situazione?
Si può speculare quanto si vuole su eventuali problemi di lore, che comunque sono arginabili, e di quanto un crossover così ovvio possa in realtà non essere così ovvio. Per me la risposta più verosimile sta nel fatto che l’industria degli MMO in Giappone debba ancora maturare e aprirsi maggiormente al mondo, come, per esempio, ha fatto quella coreana. Nel momento in cui ciò avverrà verrà a trovarsi anche quel coraggio necessario a fare investimenti più audaci e chissà che non sia proprio il Giappone il primo paese a sviluppare un MMORPG interamente in realtà virtuale, considerando quanto apprezza sperimentare con i frutti del progresso tecnologico.
E voi cosa ne pensate?
Magari stanno aspettando una tecnologia “full dive” per realizzarne uno ^.^
Assolutamente d’accordo. I jappi mancano ancora di online mmo fatti bene. Dragon’s Dogma online é un mmo “finto” dato che é una cosa alla mhw, con un hub condiviso e poi il mondo di gioco totalmente “offline”. Avrebbero un sacco di anime/manga da cui attingere, e lo dico da amante del genere isekai (guardati Danmachi Nel caso). La questione lore per me nn esiste: i giochi in questione dovrebbero solo proporre i mondi virtuali di Overlord o SAO, nn altro. I giochi single/coop di SAO cmq esistono, pure su steam, ma veri e propri mmo in effetti no. A pensarci bene, quanti sono i titoli veramente massivi japponesi? Magari basati su anime/manga… Nn molti penso. Ed é un peccato, perché anche in Occidente ci sono migliaia di Otaku pronti a fiondarsi in tali vg.