Sea of Thieves è il nuovo action adventure multiplayer online di Rare. Disponibile da fine marzo su Windows 10 e Xbox One, il titolo ha totalizzato numeri record in pochi giorni, superando i due milioni di giocatori in una settimana. Tuttavia, al successo iniziale si è accompagnata anche una lunga serie di discussioni da parte di pubblico e critica, che lo hanno reso un gioco particolarmente controverso.
Sea of Thieves punta tutta la sua magia sull’eterno fascino romantico dei pirati, come Hollywood ha insegnato con la saga Pirati dei Caraibi, saga da cui gli sviluppatori hanno preso a piene mani per creare una mitologia fantasy piratesca che inscena cacce al tesoro, ciurme fantasma e tesori sorvegliati da armate di scheletri. Ma la promessa di spericolate avventure per i sette mari basterà a intrattenere i giocatori a lungo?
La prova del fuoco
In Sea of Thieves si può giocare da soli o con altri player, sia con degli amici tramite invito che con sconosciuti tramite matchmaking. Dopo aver creato il proprio pirata (o meglio, averlo scelto tra un vasto novero di modelli pre-generati) si viene buttati nel mondo di gioco senza tante spiegazioni. Quello di Sea of Thieves è un open world condiviso con altri giocatori, che non sono mai comunque troppi a causa di un tetto massimo di player per server molto basso. L’arcipelago di gioco è costituito da varie isole inesplorate e avamposti, dove è possibile prendere le quest (qui chiamate “viaggi”), personalizzare esteticamente il proprio personaggio, bere in compagnia o prepararsi all’avventura raccogliendo provviste e oggetti utili, come assi di legno e palle di cannone.
Una volta salpati, Sea of Thieves mette in mostra uno dei più brillanti esempi di gameplay asimmetrico sulla piazza: al contrario di quasi tutti i giochi pirateschi, in cui un giocatore da solo comanda un’intera imbarcazione, qua ogni aspirante pirata ha un ruolo: c’è chi sta al timone e chi ai cannoni, chi si occupa delle vele, chi sta di vedetta scrutando l’orizzonte e chi si occupa di dare la direzione controllando la mappa. Sea of Thieves è quindi chiaramente cucito attorno al co-op: è possibile giocare da soli guidando una sloop più piccola e agile, ma la cosa sul lungo termine è piuttosto deprimente, anche contando che ci troviamo in un mondo online in cui si può essere attaccati da chiunque: di conseguenza la prospettiva di un 4v1 è ben poco entusiasmante, ma su questo torneremo più tardi.
Quando si è in gruppo, il gioco impone di collaborare: il timoniere, ad esempio, non può vedere ciò che ha davanti mentre la nave ha le vele spiegate. Questa struttura rende dunque al meglio quando si è in tre o quattro a comandare un vascello: è in questi momenti che l’esperienza di Sea of Thieves diventa pura ebbrezza ludica. Il gameplay è estremamente ben progettato anche grazie a un sistema fisico completamente simulato. Ogni strumento del mondo di gioco rappresenta un oggetto fisico: se tiriamo fuori la mappa anche i nostri compagni di ciurma potranno vederla, se accendiamo una lanterna di notte tutti i giocatori vicini (amici e non) ne noteranno la luce. Persino le quest, pardon i viaggi, sono mostrati come una pergamena da mettere sul tavolo di bordo. Questa “fisicità” si estende anche al modello di danni: quando una nave viene danneggiata si creano dei buchi nello scafo, che tuttavia possono essere riparati dai giocatori, i quali devono poi usare i secchi per buttar fuori l’acqua che altrimenti si accumula in fondo alla nave.
Nella gestione dei liquidi in particolare Sea of Thieves è maestro assoluto: non solo il gioco presenta un mare incredibilmente realistico, ma offre probabilmente la miglior simulazione delle onde mai vista in un videogioco, a cui si aggiunge un’altrettanto certosina simulazione del vento. Tutti questi sistemi interconnessi contribuiscono a ricreare un’autentica (sebbene semplificata) esperienza di navigazione: possiamo cambiare direzione alle vele per andare più veloci, così come tirare giù l’ancora mentre si gira il timone per far fermare e girare velocemente la nave durante un inseguimento. Insomma, ci sono un po’ di trucchi del mestiere da imparare, e il gioco reagisce alle nostre azioni analogiche con squisiti feedback visivi e sonori: quando si riesce ad avere il vento in poppa, ad esempio, le vele si gonfiano facendo accelerare la nave come una moto che impenna su un circuito. Sea of Thieves farà quindi la gioia di chi ama il brivido del mare in tempesta.
La maledizione della prima luna
Se il gameplay legato alla navigazione è appagante, non è da meno l’art direction. Dire che il gioco sia visivamente stupendo sarebbe banale: Sea of Thieves è uno di quei pochi titoli in cui il comparto artistico si fonde armoniosamente con quello tecnico, tanto che è impossibile scindere le due componenti. Il ciclo giorno-notte, le ombre dinamiche e la già citata simulazione fisica, infatti, si accompagnano allo stile pittorico sognante, ai colori caldi e alle tinte pastello dell’orizzonte. Il poetico mondo di Sea of Thieves emana un fascino che parla al cuore, mentre si ammira un’alba dorata, un malinconico tramonto sul mare o un cielo stellato impreziosito dall’aurora boreale.
Bisogna inoltre segnalare che il prodotto è ottimizzato molto bene: abbiamo testato la versione PC su diverse configurazioni senza registrare particolari problemi di fluidità, arrivando a poter spingere le opzioni grafiche al massimo sul PC usato per la recensione.
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La maledizione del forziere fantasma
L’obiettivo ultimo del gioco è diventare pirati leggendari, e per farlo bisogna salire di rango con tre compagnie, ognuna delle quali dà accesso a un tipo diverso di quest. Probabilmente le conoscete già: i Cacciatori d’Oro chiedono di trovare dei forzieri seguendo le indicazioni di una mappa o di un criptico indovinello, l’Ordine delle Anime incarica di sconfiggere dei capitani scheletrici, mentre l’Alleanza del Mercante chiede di trovare un certo tipo di merci o animali.
Il primo problema è che queste missioni si rivelano ben presto per quello che sono: delle banali fetch quest, che ripetono all’infinito le stesse tre o quattro meccaniche: scava nel punto giusto, trova la chest, consegna la chest. Rinse and repeat. Per la prima ora di gioco si vive un senso di avventura continua, che però va sempre più scemando a forza di rifare meccanicamente le stesse cose.
Se i viaggi dei Cacciatori sono almeno carini, quelli dei Mercanti sono invece tremendi. Innanzitutto sono molto più difficili degli altri, perché non viene specificato dove si trovano gli animali richiesti: bisogna quindi girare a casaccio per le isole, finché non si trovano i “maiali a macchie rosa e nere” per quella specifica missione. C’è anche un limite di tempo per completare il viaggio, per cui si rischia di vedere i propri sforzi vanificati se ci si attarda troppo. Le ricompense poi sono ridicole se paragonate alla fatica: nel tempo in cui si fa una quest dei Mercanti se ne possono fare tre dell’Ordine delle Anime, che probabilmente rendono pure di più. Non a caso, in tutti i gruppi con cui ho giocato l’unica costante era che nessuno voleva fare le quest dei Mercanti. Questo problema, di tutta evidenza per chi sia anche solo arrivato al rank 10, fa pensare che Rare non abbia testato a dovere il sistema, o forse che abbia preferito non ascoltare i feedback dei tester, dubbio su cui torneremo più tardi.
Ai confini del mondo
Il contenuto più impegnativo di Sea of Thieves è al momento rappresentato dai raid, ovvero gli assalti ai forti. Qui bisogna sconfiggere una decina di ondate di scheletri per poi far fuori il boss, che alla morte dropperà una chiave. Questa ci aprirà le porte del cuore della fortezza, ricolmo di tesori e beni preziosi da razziare. È bene affrontare questo contenuto con un gruppo affiatato, anche perché nel mentre potrebbero sopraggiungere le navi di altri giocatori a metterci i bastoni tra le ruote nel tentativo di mettere le mani sulle immense ricchezze della fortezza.
Come ibrido di PvE e PvP, i raid sono sicuramente l’attività più adrenalinica e divertente del gioco. La tensione è sempre alta, ma la grassa ricompensa vale lo sforzo. Anzi, dopo un tot di ore si arriva a un punto di inevitabile saturazione, per cui l’unica cosa che si vorrebbe fare sono proprio i raid: presto ci si accorge infatti che non val la pena completare decine di noiosi viaggi per incassare qualche centinaio di gold, quando con un assalto al forte se ne guadagnano tranquillamente diecimila. Il punto è che i giocatori non possono scegliere direttamente quando affrontare il contenuto: un raid si può fare solo se l’evento scriptato è attivo, in caso contrario la fortezza rimane sbarrata.
Di conseguenza, tra i giocatori è già diventata pratica comune il cosiddetto “relogin tattico”: in pratica, se nella sessione attuale non c’è un raid attivo, si esce dalla partita per entrare subito in un’altra nella speranza di veder apparire in cielo il famigerato teschio, manco fosse la Madonna. Questo rappresenta un grosso problema strutturale di Sea of Thieves: se in un gioco si arriva a dover sloggare e riloggare a ripetizione finché non si trova la sessione giusta per affrontare un contenuto stimolante, è evidente che c’è qualcosa di profondamente sbagliato. E non è certo colpa dei giocatori, che in mancanza di alternative si dirigono sulla portata più gustosa del piatto.
What remains of the Kraken
Un discorso simile riguarda la suddetta creatura mitologica. Non sono infatti i giocatori ad andare a caccia della misteriosa bestia, che si palesa attaccando una nave in momenti più o meno casuali. Quando inizia uno scontro col Kraken le acque si fanno nere, i tentacoli del mostro avvinghiano la nave e la bloccano sul posto: per liberarsi bisogna mirare ai tentacoli e arrecare abbastanza danni, finché la creatura non lascia la presa e scompare negli abissi marini.
La sfida è indubbiamente entusiasmante la prima volta, tuttavia c’è qualcosa che non quadra: durante lo scontro, il corpo del mostro non si vede mai. Il motivo è semplice: il Kraken in realtà non esiste, se non per i suoi tentacoli. È proprio per questo che le acque diventano scure come la pece, per coprire il fatto che si sta solo combattendo contro dei tentacoli animati. Ai giocatori sono bastati pochi giorni per capire un inghippo celato in maniera così maldestra. Contando quanto Rare aveva hypato il contenuto nei mesi scorsi, è inevitabile restare delusi per la realizzazione finale. Non aiuta inoltre il fatto che, anche in caso di vittoria, l’evento non fornisca alcuna ricompensa: ai giocatori che riusciranno a sconfiggere il temibile mostro spetta solo la gloria di un achievement.
Paradossalmente, lo scontro col Kraken finisce per rappresentare una metafora dell’esperienza di Sea of Thieves: un prodotto emozionante di primo acchito, ma deludente se si scava più in profondità. Purtroppo, quello di casa Rare è sostanzialmente un gioco superficiale.
L’insostenibile leggerezza dell’essere
Avete presente quel detto che vale per molti grandi giochi, “easy to learn, hard to master”? Bene, non è questo il caso di Sea of Thieves. Con due o tre amici anche le missioni più difficili si fanno senza problemi e, una volta entrati nei giusti meccanismi, è rarissimo veder affondare la propria nave: anche se lo scafo è crivellato di colpi e ci siamo appena schiantati a tutta velocità contro uno scoglio aguzzo, infatti, basta qualche asse di legno per far tornare la bagnarola al 100%. Questo vanifica un po’ l’abilità nella navigazione, e in generale il livello di sfida si abbassa esponenzialmente fino a diventar quasi banale.
Non migliora la situazione un combat system poco stratificato ed estremamente basilare. Il problema non riguarda tanto il numero di armi a disposizione, quanto la povertà di combo e attacchi disponibili: con la spada ad esempio si possono solo concatenare tre attacchi base, parare i colpi, schivare di lato o optare per un attacco caricato. Tutto qui. Persino i giochi di dieci anni fa offrivano un sistema di combattimento più approfondito. L’unico aspetto positivo è che ogni arma è ben caratterizzata con pregi e difetti definiti, e potendone portar dietro solo due il giocatore si troverà ogni volta a dover scegliere la sua accoppiata preferita o più adatta al contesto.
In ogni caso, dopo una decina di ore si ha vita facile contro tutti i mob. L’unica parte del gioco che non ricade nella banalità è ovviamente quella che dipende dalla bravura degli altri giocatori.
Quindici uomini sulla cassa del morto
Basta poco per rendersi conto che il PvP svolge un ruolo cruciale in Sea of Thieves. Nel mondo di gioco non ci sono infatti safe zone nè modalità PvE-only. Il fascino dell’open world si basa proprio sulla sottile tensione che si vive quando, durante l’esplorazione, si scorge una nave all’orizzonte che potrebbe dirigersi verso la nostra direzione, con tutti i rischi che questo comporta (soprattutto se siamo carichi di loot). Gli scontri PvP possono generare momenti di grande epicità, ad esempio quando si prende a cannonate un altro vascello tra le onde del mare, o ci si infiltra di soppiatto su un galeone per prenderne i forzieri e scappare a gambe levate.
Tutto questo, però, appare molto meno divertente se si ha la sfortuna di essere dalla parte di chi subisce. Quello del griefing è un problema serio, che Rare ha colpevolmente sottovalutato: per com’era strutturato al day one, infatti, Sea of Thieves era un “gankbox”, ovvero un gioco multiplayer che incentiva l’uccisione indiscriminata tra player. Il sottoscritto è assolutamente favorevole a una formula open PvP, ma in qualsiasi gioco ci vogliono dei paletti. Persino Ultima Online, noto come uno degli MMO più hardcore di sempre, permetteva di combattere solo nell’open world, perché le guardie impedivano il PvP all’interno delle città. Al contrario, in Sea of Thieves i giocatori possono ucciderti e rubarti le preziose chest ovunque, anche all’interno degli avamposti, cosa che apre le porte al griefing selvaggio. Inoltre, il fatto che l’unica forma di exp sia legata alla consegna del bottino, e non alle azioni che si compiono giocando, fa sì che se un player perde tutte le casse che ha trovato dopo essere stato attaccato da un gruppo di pirati, non riceve alcuna ricompensa per un’ora (o più) di sforzi.
In generale, pur condividendo molte meccaniche con gli MMO, Sea of Thieves sembra progettato da qualcuno che non ne ha mai giocato uno, ed è un peccato perché si sarebbe potuto fare molto di più per evitare il griefing pur senza limitare la libertà d’azione. D’altronde gli MMO esistono da vent’anni, e ormai nel 2018 c’è il “know how” su come impedire che certi problemi assumano proporzioni così pesanti. Rare sta correndo ai ripari, ad esempio facendo in modo che i giocatori sconfitti non respawnino dov’erano morti, ma in un’altra zona del mondo: una correzione necessaria e persino ovvia, che alcuni giocatori chiedevano fin dai tempi dell’alpha.
Anche volendo prescindere dai problemi di griefing, comunque, Sea of Thieves presenta evidenti limiti nella sua formula PvP. Qualsiasi gioco che sia incentrato sul competitivo ha bisogno di un’impalcatura solida e sistemi precisi per funzionare: gli sviluppatori avrebbero dovuto introdurre delle ricompense derivanti dallo sconfiggere altri equipaggi, e soprattutto avrebbero dovuto impostare un sistema di leaderboard e un matchmaking che assicurasse di incontrare altre navi, perché il rischio è di girare per ore senza incontrare nessuno. Per com’è impostato ora, insomma, il PvP di Sea of Thieves è troppo erratico, legato ai singoli episodi e non a una struttura di gioco avanzata e coerente.
Progressione? Quale progressione?
Una delle principali critiche rivolte al gioco dagli utenti, soprattutto da chi pensava di trovarsi di fronte a un MMO, è rappresentata dal fatto che in Sea of Thieves salire di grado non serve sostanzialmente a nulla. Non si sbloccano nuove armi o poteri, e soprattutto non esistono pezzi di equipaggiamento più o meno forti: in altre parole, un nuovo giocatore infligge gli stessi danni di un veterano, senza alcun bonus per l’equip o +1 legato al livello. L’unico vero progresso è di tipo cosmetico, dato che con i gold si possono comprare vestiti, armi e strumenti più belli e ricercati, oltre che sbloccare degli encomi. Sea of Thieves non è quindi un RPG, e in questo non c’è niente di male: quella di Rare è una precisa scelta di design nel voler mettere tutti i giocatori sullo stesso piano, in una democratica anarchia piratesca. Il problema sta piuttosto nel fatto che non c’è modo di personalizzare la propria esperienza di gioco: non ci sono build da provare, non si può scegliere quali armi usare (si resettano ad ogni partita), insomma non c’è niente che ti faccia sentire il personaggio davvero tuo, estetica a parte.
A tal proposito è opportuno chiarire la definizione di progressione orizzontale, perché nelle scorse settimane c’è stata molta confusione sul termine. Solitamente un metodo di progressione si definisce orizzontale quando all’endgame tutti i personaggi godono delle stesse statistiche e di equip di valore simile: di conseguenza, a fare la differenza sono le skill e le build usate per far rendere al meglio il proprio PG – un esempio in questo senso è il primo Guild Wars. Sea of Thieves, al contrario, non ha progressione orizzontale. Salendo di rank con le compagnie non solo non si diventa più forti, ma non si ha neanche accesso ad altre abilità o perk. Certo, a forza di giocare può migliorare la nostra abilità intrinseca, ma questo succede potenzialmente in qualsiasi gioco, da League of Legends a Quake Live.
I want to be a legendary pirate
A causa delle mancanze di cui sopra, erano in molti a sperare nelle inedite possibilità che si sarebbero dovute svelare all’endgame, come una panacea di tutti i mali. Purtroppo, anche questa prospettiva è deludente.
Dopo essere diventati pirati leggendari si sblocca un nascondiglio segreto e una quarta fazione, che dà accesso ai viaggi leggendari. Si tratta di missioni divise in otto parti che mischiano incarichi piuttosto simili a quelli base: i viaggi leggendari non offrono nuove meccaniche o particolari innovazioni, anzi si presentano come delle missioni estremamente lunghe e, in ultima istanza, tediose. Considerato quando Rare ha puntato sulle incredibili sorprese che i giocatori avrebbero scoperto una volta al 50, era lecito aspettarsi ben altro.
Troppo fumo e poco arrosto
Arrivati a questo punto avrete certamente capito che per Sea of Thieves l‘elefante nella stanza è rappresentato dalla scarsa varietà di attività disponibili. Una manciata di isole da esplorare, tre varianti di missioni, i raid (solo se l’evento è attivo), il Kraken (solo se è lui a voler farsi trovare), il PvP (solo se ci sono altri giocatori in giro): non è abbastanza. Titoli come Destiny e The Division sono stati massacrati per molto meno. Già durante la closed beta si erano sentiti i primi mugugni, ma la speranza era che la versione finale sarebbe stata soddisfacente. Purtroppo così non è: per un gioco venduto a prezzo pieno, Sea of Thieves presenta una povertà contenutistica imbarazzante, tanto che bastano poche ore per vedere praticamente tutto ciò che ha da offrire.
È vero, il gioco può essere fruito a 9,99€ al mese senza ulteriori spese usando l’Xbox Game Pass (o gratuitamente per 14 giorni grazie alla prova gratuita), che dà accesso anche alle altre esclusive Microsoft. Tuttavia in sede di recensione bisogna considerare il prezzo ufficiale del gioco, che rimane di 69,99€. Sembra quasi che Rare e Microsoft abbiano fissato un prezzo così alto per scoraggiarne l’acquisto secco, e spingere invece a sottoscrivere il Game Pass: una scelta forse conveniente per l’azienda di Redmond, ma di sicuro non per chi ha dato la sua fiducia comprando il prodotto al day one.
D’altronde Sea of Thieves è un gioco basato sui pirati in ci sono solo due navi, un solo tipo di nemico e un solo tipo di cibo. Ok, molte di queste assenze sono precise scelte di design, e lo capisco. Nessuno pretende un clone di Assassin’s Creed IV: Black Flag. Ma alcune lacune sono gravi per un gioco multiplayer online progettato per durare nel tempo, come ad esempio il mancato supporto ai clan: un sistema sociale che permetta di creare delle gilde/ciurme persistenti con gli amici mi sembra una feature ormai imprescindibile oggigiorno.
Similmente non riesco a capacitarmi del perché Rare non abbia inserito nel mondo di gioco un’isola HUB, un porto massivo in cui i giocatori possano socializzare, condividere epiche bevute e sperperare monete in qualche minigioco da taverna: una zona in cui poter interagire con gli altri filibustieri e sentirsi parte di una grande comunità piratesca avrebbe giovato tantissimo. E non si può demandare tutto il divertimento a lungo termine al PvP, che dovrebbe essere una cosa da fare, non LA cosa da fare.
È altresì bizzarro che in un gioco che è al 90% acqua manchi un sistema di pesca. La possibilità di pescare avrebbe permesso di colmare quei momenti morti, quando magari si rimane soli su una nave per qualche minuto o bisogna aspettare che un amico si connetta.
La cosa che dispiace di più, nel constatare questa povertà contenutistica e strutturale, è che le potenzialità sono immense. Sea of Thieves può infatti attingere da una delle ambientazioni in assoluto più fertili per i videogiochi. Non sono un game designer, ma se penso a uno scenario fantasy-piratesco mi vengono in mente isole popolate da tribù cannibali, spaventose imboscate notturne, tesori celati in caverne sottomarine, navi maledette in stile Davy Jones o il leggendario Leviatano. È difficile pensare che ai creativi di Rare non siano venute queste e decine di altre idee: quel che probabilmente è mancato è stato il tempo di implementarle, cosa abbastanza inspiegabile se si considera che il titolo è in sviluppo da più di quattro anni, e non certo presso uno studio indie. Secondo voci circolate nelle scorse settimane da un ex-sviluppatore, il team avrebbe peccato di perfezionismo perdendo quasi due anni solo per realizzare il modello del galeone: non so se questo sia vero, ma certo è che il risultato finale è sotto gli occhi di tutti.
What’s next
Non tutto comunque è perduto: la software house britannica ha promesso molti contenuti in arrivo sotto forma di aggiornamenti gratuiti periodici. Sea of Thieves adotta infatti la formula del “game as a service” in stile Overwatch o GTA Online. Sappiamo già che i primi tre update si chiameranno Hungering Deep, Cursed Sails e Forsaken Shores. Il primo è previsto entro fine maggio e introdurrà una nuova minaccia gestita dall’IA, con meccaniche inedite e ricompense uniche, mentre gli altri due usciranno nel corso dell’estate.
Inutile dire che gran parte del successo a lungo termine del gioco dipenderà proprio da supporto post-lancio: Sea of Thieves ha disperatamente bisogno di nuovi contenuti, e in fretta, perché in queste settimane sono già molti i giocatori che hanno abbandonato i server.
Sandbox, narrativa emergente e altre parole in libertà
Infine, voglio spendere qualche parola (qualcuno mi fermi!) sull’impostazione concettuale di Sea of Thieves, da tanti lodata per la sua presunta coerenza interna. Il gioco è sicuramente coerente nel design delle meccaniche base, ma per tutto il resto è un campione di contraddizioni. Abbiamo già parlato del PvP, ma torniamo sul sistema di (non) progressione: esso è pensato per mettere tutti i giocatori alla pari e quindi liberare dalla necessità di grindare. Sì, peccato che circa dal livello 20 in poi la quantità di exp richiesta per salire di livello aumenti esponenzialmente. Questo grind verticale, tipico più degli MMORPG di una volta, cozza chiaramente con quella che è la visione trasmessa da Rare: della serie, il grinding c’è solo quando conviene agli sviluppatori.
Intendiamoci: tantissimi giochi online richiedono di farmare. Ma oggi il mercato ci propone titoli pensati in maniera intelligente, che non fanno pesare il farming poiché offrono al giocatore tante attività in cui cimentarsi a piacere e un reale senso di crescita e “unicità” del proprio personaggio (si prenda ad esempio Warframe). Sea of Thieves invece rappresenta l’altro lato della medaglia, perché propina al giocatore sempre le stesse cose con ricompense futili che rendono le missioni una routine ben poco avventurosa. Se il combattimento non dà alcuna forma di exp nè ricompensa, perché dovrei continuare a picchiare gli scheletri che mi si parano davanti? Sono fetch quest che negli MMO si fanno per ottenere una crescita del personaggio che, come visto, qua non esiste. Sea of Thieves è un prodotto che chiede continuamente al giocatore di trovare delle motivazioni per giustificare quel che sta facendo, magari con un po’ di sano RP. Ma il roleplay, come sa chi ha giocato a Dungeons & Dragons o altri GdR, si basa non sull’anarchia, ma su un sistema di regole da rispettare – un’impalcatura che nel titolo Rare manca quasi completamente.
Sea of Thieves è stato anche definito un sandbox, “un gioco in cui l’avventura se la creano gli utenti”, ma questo è vero solo parzialmente. Il gameplay, infatti, non dà ricompense (o ne dà pochissime) per tutto ciò che non sia una missione o un evento scriptato, e soprattutto non fornisce gli strumenti per plasmare il mondo di gioco: al momento i player non possono costruire rifugi personali, distruggere edifici, commerciare o conquistare territori, insomma non possono davvero lasciare la loro impronta sul mondo, anche a causa di un’infrastruttura online che è meno persistente di quanto sembri.
Come se non bastasse il mondo non è neanche così grande, e a forza di girare si finisce sempre negli stessi posti: ho perso il conto di quante volte sono stato a Sunken Grove o Shipwreck Bay. Ogni isola poi è a distanza di due minuti l’una dall’altra. Si dice che l’importante non sia la destinazione, ma ciò che si frappone tra l’ancora levata e il tesoro trovato sotto la sabbia: bene, allora fatemi un gioco in cui davvero possa godermi il viaggio tra un’isola e l’altra. Il worldbuilding di Sea of Thieves risulta invece artificioso: la conseguenza è che sembra di star esplorando un fast food di isolette messe apposta per intrattenere i giocatori. Ogni atollo sprizza un’atmosfera incredibile, ma è tristemente vuoto a parte qualche serpente e gallina qua e là.
Insomma, va bene il focus sulla libertà d’azione e sulla narrativa emergente, ma se davvero vuoi che i giocatori possano creare un mosaico di storie e leggende devi dare loro molti più strumenti e opportunità di quanti non ne offra il titolo Rare. In questo Sea of Thieves soffre di un grosso problema d’identità, perché al momento non è né carne né pesce: non risulta abbastanza coraggioso e profondo nei sistemi di gioco per essere un vero sandbox, e non offre abbastanza contenuti per essere un buon action adventure cooperativo.
Più gioco a Sea of Thieves e più le sue mancanze mi fanno ribollire il sangue per ciò che avrebbe potuto essere. Eppure, nonostante tutto il gioco riesce a regalare dei momenti indimenticabili, ad esempio quando si suona una struggente serenata con gli amici mentre la propria nave sta affondando, o quando si supera per la prima volta il confine della mappa e si vede “il mare rosso di sangue”.
Non voglio apparire troppo severo, ma per come la vedo io Sea of Thieves deve decidere chiaramente che cosa vuol essere da grande: speriamo che Rare sappia far crescere il suo pargolo al meglio.
CONSIDERAZIONI FINALI
Sea of Thieves è uno dei più grandi sprechi di potenziale che abbia visto negli ultimi anni. Un gioco dal gameplay fluido, visivamente incantevole, con una simulazione fisica curata e una formula di design cooperativo appagante, ma al tempo stesso drammaticamente povero e superficiale.
Con un po’ di attenzione e lungimiranza in più Sea of Thieves avrebbe potuto essere un capolavoro per tutti gli aspiranti pirati virtuali: invece al momento ci troviamo davanti a un titolo con quattro contenuti in croce ripetuti all’inverosimile, un combat system banale, una struttura multiplayer online deludente e una direzione generale poco chiara.
Guardando i lati positivi, Sea of Thieves è praticamente scevro da bug e presenta ottime basi su cui costruire. La speranza è ovviamente nei futuri aggiornamenti gratuiti, alcuni già annunciati da Rare, grazie ai quali il bruco potrebbe trasformarsi in una bellissima farfalla. Ora come ora, però, non ci sentiamo di consigliare Sea of Thieves al prezzo a cui viene venduto, a meno di giocarci tramite Xbox Game Pass.
Giornalista pubblicista, Plinious trova che non esista niente di più comunicativo dei videogiochi, in particolare quelli online. Da sempre appassionato di gioco di ruolo e MMORPG, ama immaginare ed esplorare mondi fantastici in cui perdersi dieci, cento, mille e una notte. La sua storia online inizia con Guild Wars Nightfall e prosegue con decine di MMO occidentali, da World of Warcraft a Warhammer Online, da Guild Wars 2 fino a Sea of Thieves.
lo giocato un paio di ore non mi appassiona per nulla ..speravo in qualcosa di meglio ,e lo stile dei personaggi non mi piace per nulla,le mappe molto belle ma i personaggi non li trovo molto ben disegnati anziii
Ottima recensione. Condivido (ahimè) al 100%. Occasione sprecata che spero riusciranno a salvare da un più che probabile tracollo se continua così.
P.S. non vedo l’ora di leggere la vostra recensione (qualora la faceste) di Worlds Adrift che sotto molti aspetti è il complementare di SoT.