I giochi di ruolo rappresentano una nicchia ben precisa del mercato videoludico e, come molti già sapranno, quelli di stampo orientale hanno uno stile peculiare inconfondibile. L’era d’oro dei JRPG sembra essere ormai relegata alle passate generazioni di console, eppure c’è qualcuno che ancora ci prova e riesce a proporre ai videogiocatori qualche perla di qualità. Fu senz’altro questo il caso di Ni No Kuni, delizioso progetto a firma congiunta di Level-5 e Studio Ghibli.
Il suo sequel, Ni No Kuni II: Il Destino di un Regno (in inglese Revenant Kingdom), purtroppo nasce orfano del famoso studio di animazione giapponese ma ne eredita, in qualche maniera, il suo lascito. Il gioco è disponibile dal 23 marzo scorso, questa volta sia su console PlayStation 4 che, per la prima volta, su PC tramite Steam. Noi ci siamo fiondati nuovamente a Gatmandù e nel mondo di Ni No Kuni e questo è il nostro giudizio dopo una prova che ha superato le sessanta ore.
Il nuovo vecchio fascino dell’animazione giapponese
Ci sembra veramente opportuno iniziare facendo notare da subito l’elefante nella stanza, ossia il legame tra questa serie e lo Studio Ghibli. Uno dei valori aggiunti del primo capitolo, arrivato da noi su PlayStation 3 nel 2013, era senza dubbio l’apporto artistico che lo studio del maestro Miyazaki ha saputo offrire, a partire dalle incantevoli cutscene animate della stessa qualità dei film di animazione di loro produzione. In Ni No Kuni 2 abbiamo tutto sviluppato con il motore di gioco, sia per le sezioni di gameplay che per gli intermezzi narrativi. Lo stile, però, resta molto fedele alla base che abbiamo avuto modo di apprezzare un lustro fa, grazie al contributo di un altro artista legato al famoso studio, ossia Yoshiyuki Momose. Immergersi di nuovo in quel mondo incantato e ricco di magie, mostriciattoli e personaggi particolari fa immediatamente riemergere nel videogiocatore le sensazioni, le esperienze e le emozioni del primo capitolo, sia per quanto riguarda l’aspetto estetico che quello audio.
Volendo per una volta partire dal comparto tecnico, non possiamo fare a meno di appuntare due cose: la prima, evidente, è una maggior pulizia grafica e cura del dettaglio, dovuto essenzialmente al salto di generazione di console, ma anche una serie di disattenzioni e sbavature che lasciano intuire uno sviluppo un po’ tribolato e probabilmente affrettato. Da un lato abbiamo una colonna sonora di buona qualità, che tuttavia non si limita solo a rievocare l’OST del primo Ni No Kuni ma quasi un fastidioso déjà-vu. L’idea è quella che ci sia stato un riciclo, o meglio un riarrangiamento di alcune tracce, una minore varietà rispetto ai luoghi e alle situazioni, nonché addirittura delle mancanze, lievi ma comunque fastidiose, come una certa incostanza per le fanfare in occasione di una battaglia vinta, spesso liquidate soltanto con una grossa scritta a schermo che ci informa che l’ultimo nemico è stato battuto.
Dal punto di vista artistico, ancor prima che grafico, ci rendiamo conto che se da una parte ci troviamo con una mole di PNG molto più ampia, variegata ed anche mediamente caratterizzata, dall’altro lato ci ritroviamo a sentire l’enorme mancanza dei famigli. Dal punto di vista del gameplay ne parleremo più avanti, ma al momento ci preme mettere l’accento su un aspetto molto importante: nell’originale No No Kuni i famigli, oltre ad essere numerosi (più di 300 modelli tra evoluzioni, esemplari golden e via dicendo), erano estremamente diversificati e ben distribuiti sulla mappa e le varie zone, caratterizzandole e diversificandole anche grazie a questi curiosi incontri. In Ni No Kuni 2 abbiamo dei nemici da sconfiggere di volta in volta che ricordano vagamente alcuni di questi famigli, tuttavia rappresentano appena una frazione del numero di modelli (circa una trentina, considerando anche i mini boss e i boss), che vengono poi riciclati dalla prima fino all’ultima area di gioco con semplici ritocchi estetici, come banali recolor, e un riadattamento all’elemento principale affinché meglio si adattino al contesto geografico circostante. Questo probabilmente è l’aspetto che ci ha maggiormente deluso e che, come accennavamo, ci fa pensare che con ogni probabilità serviva più tempo per portare a termine tutto il lavoro, vittima di dolorosi tagli.
Durante la nostra prova su PC abbiamo giocato con una macchina di fascia medio-alta (i7 4790k, GTX 970 e 32GB di RAM) senza riscontare problemi tecnici particolari. Il gioco, ad una risoluzione di 1080p difficilmente ha subito qualche calo dai 60 frame per secondo, stabili anche impostando ogni tipo di dettaglio ad alto (eccezion fatta per l’antialiasing) e con la CPU affaticata da altre applicazioni in uso in background. La vera chicca è che il titolo riesca ad andare a 60 fps anche su PlayStation 4 standard o slim, mentre per la Pro sono previsti un pieno supporto all’HDR e alla risoluzione dinamica in 4K, utili per chi avesse un televisore di ultimo grido nel proprio salotto. Per quanto sia piacevole che finalmente ci si impegni a garantire anche a tutta l’utenza console uno standard superiore ai canonici 30 frame, guardando ai dettagli grafici con occhio critico non possiamo però nemmeno gridare al miracolo. Anche se il passo in avanti di generazione è abbastanza evidente, ci ritroviamo tra le mani un titolo che in tanti modi resta comunque ancorato a vecchi limiti tipici del genere di ruolo giapponese. Tra questi segnaliamo una più che ridotta interazione con l’ambiente, mappe di gioco sempre abbastanza contenute e limitate a piccoli labirinti, spesso nemmeno così intricati, con tanti lunghi corridoi stretti e poche zone aperte. Anche la qualità delle texture e la quantità dei poligoni, specialmente utilizzati per le ambientazioni, sembrano un mero restyle rimasterizzato di asset presi paro paro dalla old-gen.
Concludendo il discorso tecnico, e tornando per un attimo al comparto audio, segnaliamo la sempre apprezzatissima possibilità di scegliere la lingua dei dialoghi doppiati, tra inglese e la lingua originale (giapponese), irrinunciabile per gli amanti del genere. Per quanto riguarda la localizzazione, sono stati tradotti tutti i menù e i dialoghi, anche se soltanto come sottotitoli. Anche questa volta ci viene proposto un personaggio, come fu il carinissimo Lucciconio, con una parlata in accento tipico romanaccio, per restituire anche a noi nel Bel Paese la differenziazione e caratterizzazione del personaggio, che in lingua originale utilizza un particolare dialetto.
Costruire le basi per un nuovo regno
Venendo al sodo di ciò che sono i veri contenuti di Ni No Kuni 2, partiamo con l’incipit narrativo. Un anziano capo politico di chissà quale paese si ritrova coinvolto in un’esplosione nucleare proprio mentre si dirigeva nella sua limousine ad un meeting tra potenze mondiali. Roland si risveglia però in un mondo che non è il suo, nel regno di Gatmandù e inspiegabilmente tornato giovane. Prima che possa rendersi conto di cosa stia succedendo e perché, si imbatte nel piccolo Evan, principe e legittimo erede al trono di Gatmandù, proprio nel bel mezzo di un colpo di stato. I due decidono in fretta di fuggire per mettersi in salvo, tra mille pericoli e qualche aiuto di terzi. Il focus da protagonista dunque passa molto in fretta da Roland allo stesso Evan, con in mente il suo desiderio di riuscire a fondare un nuovo regno che abbracci tutto il mondo di Ni No Kuni e i suoi abitanti. Proprio questo aspetto è importante perché è un espediente narrativo che serve agli sviluppatori per ibridare nel proprio progetto elementi che con i JRPG hanno davvero poco a che vedere.
Da una parte abbiamo dei combattimenti strategici in tempo reale, chiamati battaglie campali, in cui armati con quattro capitani e altrettante truppe bisogna farsi strada tra le truppe simili nemiche fino a che non le si sono annientate tutte, sfruttando sia strutture come cannoni e torrette, sia unità a lungo raggio come arcieri e pistoleri, ma soprattutto truppe a corto raggio che sfruttano un sistema di debolezze simil carta-forbice-sasso. Queste truppe hanno un sistema di livelli e meccaniche assolutamente sciolte dal resto del gioco, di cui parleremo a breve. Troviamo tuttavia non solo questa modalità inutile e ripetitiva ma, nel caso in cui giustamente decidiate di lasciarla perdere, forzatamente frustrante, poiché vi verrà riproposta verso le ultime battute della main quest e, senza un adeguato livello e una padronanza delle meccaniche di base (pur basilari), non potrete proseguire nell’avventura.
L’altra modalità atipica nel genere è la gestione del regno di Eostaria, disponibile praticamente alla fine della primissima parte che fa da tutorial, della durata di circa 4 o 5 ore. Qui ci sarebbe piaciuto trovare una struttura un po’ sandbox ma anche il format a là Civilization non ci è dispiaciuto affatto, anzi. Il tutto ruota attorno all’influenza del regno, che garantisce un certo guadagno fisso nel tempo in proporzione, oltre che degli approvvigionamenti di materiali in base alle strutture e ai lavoratori già attivi nel regno. Più negozi, laboratori e ricerche verranno effettuate e maggiore sarà l’influenza e le risorse farmabili, raggiungendo in breve tempo uno sviluppo esponenziale che vi garantirà power up ed equipaggiamenti di livelli sempre migliori. Perché tutto questo funzioni sarà indispensabile trovare dei cittadini, indicati come talenti, da reclutare per il vostro regno. Ce ne sono 100 in tutto il gioco ed è indispensabile reclutarli tutti. Ognuno di essi però sarà disposto a seguirvi soltanto a seguito di missioni secondarie, le quali vi porteranno via diverse ore, mentre altre ancora le spenderete volentieri per gestire il vostro piccolo reame.
In linea di massima ci vorranno tra le 30 e le 35 ore per completare solo i 9 capitoli di storia, mentre se voleste dedicarvi a tutte le altre attività secondarie potrete andare avanti almeno per il doppio del tempo, grazie a 175 sidequest, altre missioni aggiuntive procedurali (e potenzialmente infinite) di un PNG, svariate missioni campali sparse per il mondo e, ovviamente, per portare Eostaria al suo massimo splendore. Insomma, i contenuti certamente non mancano. Manca, purtroppo, una certa varietà nella formula. Dopo che per l’ennesima volta avrete battuto il mini boss di turno, raccolto tot materiali e girato per mezzo mondo in cerca di qualcosa o di qualcuno, la noia inizia a farsi sentire. D’altro canto, il sistema di rewarding legato a doppio filo al modello gestionale del proprio regno riesce in qualche modo a spingere il giocatore oltre la ripetitività, pur di conseguire i propri obiettivi.
Ci siamo invece stupiti nel constatare che lo sviluppo dei personaggi cresce abbastanza in linea con il livello dei nemici man mano che si avanza nella storia. Ovviamente è preferibile non sottrarsi mai ad una battaglia per ottenere l’esperienza necessaria per restare al passo tuttavia, anche a causa di una difficoltà non particolarmente stimolante, i game over saranno via via sempre più radi e nelle ultime fasi riuscirete a sopperire senza enormi patemi a una differenza con i vostri nemici di 20, o addirittura 30 livelli.
Imbracciate le vostre armi e difendete il Re
Una delle novità più marcate di questo secondo capitolo è certamente il sistema di combattimento. Come già abbiamo accennato, i famigli non sono più parte del gioco e né ci sono evocazioni di alcun tipo. Ci sono però i cioffi. Cosa sono i cioffi? Sono piccoli esserini di natura elementale, che vengono aggiunti al team di tre personaggi principali giocabili e che formano fino a quattro squadre di supporto. I cioffi possono essere di natura neutrale, di fuoco, di acqua, di vento, di luce o di elemento buio. Ognuno ha quattro abilità, di cui una attivabile direttamente dal giocatore non appena il gruppetto è pronto. Inoltre i cioffi possono essere assorbiti, come se fossero carburante, per potenziare le magie da lanciare. Non ci dispiace affatto la loro implementazione, anche se avremmo preferito una maggior cura soprattutto nel bilanciamento delle varie abilità e l’utilizzo delle stesse. Ciò che inveceò non ci ha convinto affatto è la sostituzione dei famigli con i cioffi, che probabilmente avrebbero potuto coesistere con dei piccoli accorgimenti per non rendere i combattimenti eccessivamente caotici o complessi da gestire.
La novità principale, però, è un’altra: il totale cambio di rotta nelle meccaniche di combattimento, passando da un sistema in tempo reale più tradizionale, legato in particolar modo allo stile di Kingdom Hearts, ad uno puramente action. Addio menù a schermo con le azioni da compiere, ogni attacco e abilità è gestito da semplici tasti o combinazioni di essi. Che siano attacchi leggeri, pesanti, schivate, parate e magie, tutto si svolge in tempo reale ma in un’area delimitata, che spesso funge anche da fuga per disingaggiare il gruppo di nemici. L’unica nota dolente è l’utilizzo degli oggetti, specie quelli di recupero di HP e MP, per i quali è necessario mettere in pausa il gioco e usarli, con tutta calma, dal menù. L’unica differenza tra l’utilizzo di posizioni ed altro in combattimento o in altri momenti è la quantità ridotta – ma sempre abbondamentemente più che sufficiente – di risorse impiegabili.
Curioso anche il meccanismo di gestione dei punti magici, che sono invero ad appannaggio di attacchi a distanza semplici e magie. Ognuno di questi attacchi ha un suo costo preciso ma la ricarica non avviene progressivamente nel tempo ma attaccando melee un qualsiasi avversario. Ciò rende, anche con una giusta logica alla base, quasi impraticabili i combattimenti gestiti solo a distanza e spinge il giocatore a mixare le tipologie di attacco per massimizzare il potenziale offensivo. L’altra faccia della medaglia è che questo rende i moveset di tutti i personaggi utilizzabili (6 in totale) abbastanza simili tra loro, pur con lievi differenze legate alla tipologia di armi che ognuno utilizza e alle abilità in proprio possesso. Ogni giocatore non faticherà a trovare il trio preferito in base al proprio stile e mai questo verrà messo in discussione, né tantomeno alla prova, in base ai tipi di nemici affrontati. Lo stesso discorso potrebbe anche applicarsi allo stile di combattimento, inteso sia come personaggio principale che si preferisce utilizzare direttamente, sia come combinazioni di attacchi. In rarissime occasioni ci siamo ritrovati a modificare il nostro approccio alla battaglia in favore di uno un po’ più strategico, cercando di sfruttare particolari debolezze del nemico. Nella maggior parte dei casi basta continuare a randellare i nemici che, presto o tardi, tenderanno tutti a cadere sotto i nostri ripetuti colpi.
In tutto questo, però, c’è ancora un altro elemento un po’ divisivo, che riguarda la gestione del team in battaglia. Se i cioffi e Solario offrono supporto per lo più passivo, eccezion fatta per le abilità principali dei cioffi che vanno attivate dal giocatore avvicinandosi a loro, risulta un po’ frustrante non poter gestire in maniera indiretta gli altri due main character, magari con delle scelte preimpostate di attacco, difesa o supporto, come peraltro già accadeva nel predecessore.
C’era una volta
Questa volta vogliamo concludere il nostro giudizio su Ni No Kuni II: Il Destino di un Regno parlando della parte narrativa. Non è certamente nostra intenzione rovinare l’esperienza a nessuno spoilerando la storia e, dunque, cercheremo di essere più corretti possibili. Partendo dall’ennesimo paragone con la prima avventura avvenuta su PS3, all’epoca si criticò spesso e volentieri una trama un po’ banale e per certi versi infantile. Critiche che non ci trovano in accordo ma che avevano il loro fondo di verità. Pur seguendo una sua linearità e con pochissimi colpi di scena davvero sorprendenti, la trama seguiva dei binari precisi, coerenti e soprattutto molto appropriati.
Nell’avventura di Evan, d’altro canto, non ci troviamo davanti ad una rivoluzione. I binari sono molto simili a quelli già percorsi da Oliver, ma con alcune difficoltà in più. Quasi mai lo svolgersi degli eventi ci ha stupito, seguendo i canoni classici narrativi tipici dei JRPG, anche in fatto di sviluppo dei personaggi e dei mezzi a loro disposizione. In alcuni casi, tuttavia, siamo rimasti abbastanza perplessi. È capitato che taluni comportamenti o avvenimenti ci siano sembrati esageratamente forzati e poco coerenti, ma comunque funzionali a mantenere un certo tono e una direzione narrativa precisa, senza grosse sorprese. Tutto questo però va un po’ a scapito della caratterizzazione dei personaggi principali, che quasi mai riescono a creare un feeling con il giocatore e rischiano, piuttosto, di diventare degli stereotipi abbastanza comuni. Probabilmente, così come per gli altri aspetti che abbiamo analizzato, ci sarebbe voluto un po’ di tempo in più per rifinire il prodotto e renderlo realmente completo, ma soprattutto sfaccettato e accattivante. Questo purtroppo riesce solo in parte, e non può che lasciare alla fine un certo retrogusto amaro, abbastanza inaspettato per un titolo su cui tantissimi nutrivano enormi speranze e hype.
CONSIDERAZIONI FINALI
La nostra esperienza con Ni No Kuni II si può definire altalenante, ma comunque positiva. Nelle nostre parole avete potuto leggere critiche più o meno dure ma va anche sottolineata una cosa fondamentale: nonostante tutto, è sempre stato un piacere giocare per le circa 65 ore. A volte è proprio questo l’aspetto che riesce a fare tutta la differenza del mondo, ma il pensiero di quanto potenziale sia andato purtroppo perduto ci fa storcere il naso. Ci siamo trovati davanti un videogioco divertente e scorrevole, piacevole e leggermente nostalgico.
Il nostro giudizio è che l’acquisto è consigliato ma con riserva. È probabilmente uno di quei casi in cui si può aspettare di trovare un’offerta succosa da prendere al volo, magari durante i saldi stagionali di Steam, mentre per un estimatore dei giochi di ruolo alla giapponese si potrebbe anche valutare un acquisto immediato, consapevole dei contenuti e della qualità che troverà nell’offerta ludica dei Level-5.
troppo troppo semplice questo gioco.. se avessero aggiunto un minimo di sfida in più sarebbe stato molto più stimolante giocarci