È notizia di pochi giorni fa l’annuncio di Daybreak Game Company secondo cui i server di Landmark verranno spenti il 21 febbraio. Una notizia che non poteva non far discutere, se a questo aggiungiamo il fatto che la casa americana ha negato qualsiasi rimborso ed escluso la possibilità di rilasciare il codice sorgente per consentire alla community di aprire dei server privati. Un voltafaccia totale e clamoroso, per un gioco uscito dall’Early Access appena lo scorso giugno.
Tuttavia, alzi la mano chi davvero è stupito dell’annuncio. La verità è che Landmark era un fallimento annunciato da almeno sei mesi, quando il “lancio ufficiale” del gioco corrispondeva in realtà a poco più di una versione alpha, con tante feature appena abbozzate come il combat system ed altre promesse che non hanno mai visto la luce. D’altronde i numeri parlano da soli: se durante la fase di accesso anticipato c’erano più di 2100 giocatori connessi su Steam, a tre mesi dal lancio se ne contavano appena una ventina.
Eppure il gioco aveva il potenziale per essere un gran sandbox. Il sistema di crafting era notevole, così come gli strumenti a disposizione dei giocatori per costruire case e strutture di qualsiasi tipo. Tuttavia Landmark avrebbe avuto bisogno di almeno un altro anno di sviluppo. Peccato che Daybreak, invece di ascoltare i giocatori che gli hanno dato fiducia, abbia preferito mungere il prodotto finchè possibile per poi staccare la spina.
Chi mi conosce sa che raramente sono così duro con chi fa questo mestiere: quello del game developer non è un lavoro facile nè esente da pressioni, e talvolta anche i migliori propositi possono portare a un risultato mediocre. Il game development, in altre parole, è un processo estremamente complesso e pieno di ostacoli, motivo per cui spesso concedo il beneficio del dubbio agli sviluppatori di un gioco, non di rado subissati da una dose eccessiva di critiche e commenti al vetriolo nonostante le loro oneste intenzioni (ne è un esempio recente Shroud of the Avatar).
Eppure in questo caso non ci possono essere scusanti: la miope direzione del progetto da parte di Daybreak rappresenta un caso esemplare di malagestione, disorganizzazione e mancanza di buona fede nei confronti degli utenti.
Non solo, la chiusura di Landmark sancisce la morte definitiva del progetto EverQuest Next. Non dimentichiamo infatti che ab origine Landmark doveva servire come pilastro per la costruzione di EverQuest Next, l’ambizioso MMORPG sandbox next-gen svelato al PAX East del 2013. Il gioco (non a caso inizialmente chiamato EverQuest Next: Landmark) doveva fungere come editor per la creazione del mondo di Norrath che avrebbe poi costituito l’MMO fatto e finito. Insomma, i presupposti per qualcosa di davvero importante c’erano tutti, finchè lo scorso marzo Daybreak non ha annunciato la cancellazione di EverQuest Next. Nell’occasione l’allora presidente Russell Shanks dichiarò: “Mentre mettevano insieme i pezzi, ci siamo resi conto che non era divertente”. Una spiegazione che lasciò perplessi i più, dato che è piuttosto comune che un gioco non risulti divertente finchè non raggiunge lo stadio finale di sviluppo.
In ogni caso, chi a suo tempo ha voluto preordinare Landmark per supportare lo sviluppo di EverQuest Next purtroppo si troverà presto con un pugno di mosche in mano, con il primo gioco chiuso e il secondo mai uscito. Anche per i più pessimisti era difficile immaginare un disastro così manifesto.
Qualcuno potrebbe dire che l’errore l’ha commesso chi ha dato fiducia agli sviluppatori preordinando il gioco non appena possibile. Certo non v’è dubbio che i preorder rappresentano una pratica commerciale negativa che fa male al mercato dei videogiochi. Ma bisogna anche dire che qui non si parlava di un titolo creato da un team indie di belle speranze che ha cercato fortuna su Kickstarter. No, si trattava di Sony Online Entertainment, una delle software house più influenti dell’industria per la nascita e il successo del genere MMO.
Per chi non se lo ricordasse, infatti, Daybreak nasce proprio dalle ceneri di Sony Online Entertainment (SOE per gli amici), che all’inizio del 2015 Sony ha venduto a Columbus Nova, la quale l’ha rinominata Daybreak Game Company. Da qui è iniziato il declino dello studio, probabilmente dovuto anche all’azienda che lo possiede, una società di investimento quotata in borsa che non ha certo come primo interesse quello di creare giochi belli e perfetti, ma di fare soldi. Intento di per sè anche sacrosanto, almeno finchè non va a scapito dei diritti dei consumatori.
Un cimitero di MMO
Star Wars Galaxies, Vanguard: Saga of Heroes, The Matrix Online, EverQuest Online Adventures, Free Realms, Wizardry Online, Clone Wars Adventures, PlanetSide, Landmark: di fronte all’impressionante lista di MMO chiusi nel corso degli anni da SOE/Daybreak, viene da chiedersi quanto il consumatore sia stato tutelato. Ma soprattutto, dove sta il guadagno nel chiudere tutti questi giochi? Semmai si parla di risparmio nella gestione dei server.
Intendiamoci, per alcuni titoli particolarmente obsoleti come PlanetSide ed EverQuest Online Adventures (MMORPG del 2003 uscito solo su PlayStation 2) la chiusura ci poteva anche stare. È invece difficile trovare un senso alle mosse operate per il progetto EverQuest Next.
Pensiamoci un attimo: ti trovi tra le mani l’IP di EverQuest, che da sola muove milioni di appassionati. Hai a disposizione una gran quantità di modelli e asset già pronti, un engine di proprietà che consente di plasmare enormi mondi virtuali, un affermato team di artisti e developer tra i migliori sulla piazza e fondi in abbondanza per supportare lo sviluppo del gioco.
E Daybreak cosa fa? Invece di creare un gioco ne tira fuori due, ognuno dei quali dipendente dall’altro per sopravvivere: EverQuest Next senza Landmark non ha il mondo, Landmark senza EverQuest Next non ha senso. Passano gli anni e il team prima ne cancella uno perchè non è divertente, poi chiude l’altro perchè… beh, perchè è venuto fuori talmente brutto che lo giocano in quattro. Complimenti.
Tornando seri (e purtroppo c’è poco da ridere) Columbus Nova ha sicuramente giocato un ruolo in questa situazione. Secondo qualcuno la compagnia sta addirittura attuando un sistematico smantellamento dei titoli gestiti da Daybreak per ottenere gli ultimi ricavi prima di chiudere lo studio. Un’ipotesi decisamente inquietante, che spero non venga confermata. Poco ma sicuro, però, l’orizzonte per Daybreak non è roseo: la casa di San Diego continua a gestire EverQuest, EverQuest II, PlanetSide 2 e DC Universe Online che, almeno a breve termine, non paiono essere a rischio. A questi si aggiungono i neoarrivati Lord of the Rings Online e Dungeons & Dragons Online, che Daybreak gestisce solo come publisher.
In due anni, tuttavia, l’unico prodotto inedito che lo studio ha sfornato (e non ancora chiuso) è H1Z1, survival a tema zombie che è stato diviso in due giochi separati (aridaje, è proprio una fissazione), King of the Hill e Just Survive. In questo momento H1Z1 sembra la principale priorità dello studio: chissà se i due titoli usciranno mai realmente dalla fase di Early Access, e in che stato.
Inoltre Daybreak ha in cantiere un altro gioco non ancora annunciato e legato al dominio Mythwarden.com, ma mentirei se dicessi che l’hype è alle stelle. Siamo rimasti scottati troppe volte. Basti pensare che H1Z1 era stato presentato come “un gioco dedicato agli appassionati di Star Wars Galaxies“. Cioè, H1Z1. Ma scherziamo o cosa?
L’autore di questa sparata è nientemeno che John Smedley, ex-presidente di SOE che molti ricordano per l’infame gestione proprio di SWG, con il caso dell’NGE che ha fatto scuola in negativo. Da notare che, dopo essere uscito da Sony nel 2015, Smedley ha fondato una software house indipendente, Pixelmage Games, con cui ha sviluppato un nuovo gioco crowdfundato, Hero’s Song. O meglio, tentato di sviluppare, dato che il mese scorso la compagnia è fallita e Hero’s Song brutalmente cancellato. Un destino amaro e beffardo che sembra accomunare Daybreak e Pixelmage Games, i due studi nati dalle ceneri di Sony Online Entertainment. Per la cronaca, Smedley ha almeno avuto la decenza di offrire rimborsi ai giocatori.
Per questo e altri motivi, l’operato di Daybreak Games va fermamente condannato, non solo per il bene dei franchise in suo possesso, ma dell’intera industria videoludica. Guai se queste pratiche commerciali diventassero cosa diffusa. Da parte mia, propongo alla compagnia un cambio di nome: They Break Games appare molto più appropriato.
In conclusione, per lenire le ferite è giusto chiudere con le recenti parole di incoraggiamento di David Georgeson, uno dei padri di EverQuest licenziato da Daybreak nel 2015. Georgeson ha pubblicato un post su Twitter per consolare i giocatori delusi dalla chiusura di Landmark, dicendo quanto segue:
“A tutti coloro che stanno leggendo della chiusura [di Landmark]. I vostri sogni non stanno morendo, solo questo modo per raggiungerli. State vicini gli uni agli altri. Amici > gioco”.
Parole forse banali, ma come dargli torto?
Giornalista pubblicista, Plinious trova che non esista niente di più comunicativo dei videogiochi, in particolare quelli online. Da sempre appassionato di gioco di ruolo e MMORPG, ama immaginare ed esplorare mondi fantastici in cui perdersi dieci, cento, mille e una notte. La sua storia online inizia con Guild Wars Nightfall e prosegue con decine di MMO occidentali, da World of Warcraft a Warhammer Online, da Guild Wars 2 fino a Sea of Thieves.
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