Finanziato con una campagna Kickstarter nel 2014, Kingdom Come: Deliverance si è presentato fin da subito al pubblico come un gioco ambizioso e senza compromessi con la formula “Dungeons & no Dragons”.
Il gioco rappresenta l’opera prima di Warhorse Studios, software house ceca capitanata da Daniel Vávra, game designer noto per i due Mafia. Dopo quattro anni di sviluppo, a febbraio Kingdom Come: Deliverance è finalmente approdato su PC (tramite Steam e GOG), PlayStation 4 e Xbox One.
Come abbiamo mostrato nel nostro streaming, si tratta di un gioco piuttosto unico nel suo genere. Ambientato nella Boemia del 1403, Kingdom Come si pone a metà tra il gioco di ruolo single player tradizionale, con il personaggio che sale di livello e acquisisce maggiore potere a mano a mano che prosegue nell’avventura, e il simulatore realistico, quasi da documentario. Warhorse avrà dunque trovato la quadratura del cerchio?
Raramente il mondo dei videogiochi ha visto un ecosistema realistico e plausibile, con eventi dinamici, NPC dotati di personalità e vite proprie e libertà di azione, il tutto contornato da un’ottima grafica e da una pedissequa ricerca, da parte degli sviluppatori, della “vera realtà” del tardo Medioevo. A tal proposito viene alla mente la rivoluzionaria, per l’epoca, Radiant AI di Oblivion. Essa era il primo esempio di una serie di script che davano all’intelligenza artificiale dei personaggi una plausibilità di prim’ordine: essi si spostavano seguendo una routine che dipendeva dal loro ruolo nel mondo, dalle mansioni che dovevano svolgere e dall’ora del giorno. Era il lontano 2006 e da allora molta acqua è passata sotto i ponti, ma evidentemente non abbastanza da relegare all’obsolescenza tale sistema.
Kingdom Come: Deliverance propone anzitutto un sistema simile dal punto di vista dei personaggi non giocanti, aggiungendovi anche un livello di complessità in più dovuto al loro prendersi cura dei bisogni: non solo essi andranno a lavorare di giorno e a dormire di notte, ma mangeranno, ozieranno e in generale si comporteranno in modo ben più realistico di quanto si è visto finora in altri titoli. Questo permette una libertà notevole nell’approcciarsi alle diverse situazioni che Kingdom Come propone.
Se a questo uniamo un mondo medievale ricreato con una dovizia di particolari ed un realismo storico tipico di chi “ha fatto i compiti”, è chiaro che ci troviamo di fronte ad un prodotto di grande interesse. Una nota largamente positiva, a tale proposito, è rappresentata dal codex del gioco, che comprende informazioni varie sulla realtà dell’epoca: il ruolo di uomini e donne, religiosi e laici, e le loro abitudini e peculiarità di vita, nonché i principali eventi e figure di quel tempo sono descritti molto bene in poche righe, con un sapere che va oltre la mera ricerca su Wikipedia.
Ma Kingdom Come, si diceva, è anche un gioco di ruolo tradizionale, con un’avventura da vivere attraverso la trama principale e un personaggio che nasce sfigato e termina grande avventuriero. L’inizio del gioco, lentissimo, anticipa il setting che sarà tipico di tutto il prodotto. Ci troviamo dinnanzi ad un gioco lento, in cui bisogna utilizzare il cervello e comportarsi, con le dovute proporzioni, come ci si comporterebbe nella realtà. Non esistono draghi, magie né superuomini – compreso il protagonista, il personaggio giocante che si impersona. E meno male, verrebbe da dire, perchè nell’epoca dell’eccesso la cosa più innovativa è ritrovare la normalità.
Dopo aver vestito i panni di Dovahkiin vari destinati già dal livello uno alla grandezza eterna, i cui urli squarciano perfino lo spazio-tempo, o di Witcher palestrati senza paura che elidono la gravità con le loro acrobazie e sono dotati di un sex-appeal paragonabile a quello di Brad Pitt nei suoi momenti migliori, Kingdom Come ha il coraggio di porre come protagonista il mediocre figlio di un fabbro – un personaggio che all’inizio del gioco non sa neppure leggere, com’era usuale al tempo.
Egli scappa, giocoforza, dalla distruzione del suo villaggio e si ritrova al servizio di un Ser di rango sociale più alto del suo. A volte questa millantata “mediocrità” del personaggio principale diventa perfino eccessiva: uno dei difetti del gioco, seppure secondario, sta nella sensazione di impotenza del giocatore rispetto ad alcune scelte del protagonista. È vero che la nostra sensibilità da terzo millennio mal si sposa con gli ideali e i comportamenti di seicento anni fa, ma a volte nei dialoghi e nelle azioni si selezionano scelte credendo di comandare al personaggio azioni che poi vengono travisate. In alcuni dialoghi, fin dall’inizio, emerge l’ignoranza e a volte “l’eccessività” del protagonista: a volte le minacce sono troppo spinte, le persuasioni troppo servili, le bugie esagerate e implausibili.
Grafica
La grafica di Kingdom Come dimostra la sua natura di prodotto est europeo. Così come in STALKER, Arma, The Witcher, Metro 2033 e un po’ tutti videogiochi dell’est, l’attenzione è posta soprattutto su texture e illuminazione, mentre si tende a dare meno importanza alle animazioni ed ai modelli. Va detto comunque che le eccellenti texture e i meravigliosi giochi di luce messi in mostra dal motore grafico (il CryENGINE) si accompagnano a modelli più che decenti. Circa le animazioni, il combattimento in prima persona maschera alcune mancanze che sono più evidenti nelle situazioni di pace, ma sono lo stesso ben realizzate.
In generale il prodotto graficamente è ottimo, seppur soffra di alcuni problemi di ottimizzazione. Fortunatamente, le opzioni danno larga possibilità di scalarlo e di adeguare quindi la resa grafica alla giusta fluidità. Da segnalare la possibilità di downscalare la risoluzione mantenendo il resto uguale: può essere una soluzione per chi debba scendere a compromessi ma prediliga una migliore resa degli effetti, degli shader e dell’illuminazione a discapito della nitidezza dell’immagine.
Bisogna sempre essere consapevoli del fatto che quando un prodotto cerca di innovare sotto larghi aspetti, e Kingdom Come ci prova, la realizzazione tecnica non può mai essere perfetta, semplicemente perché viene sperimentato qualcosa di nuovo e ancora inesplorato.
Combattimento
Buona parte del divertimento di Kingdom Come proviene dagli interessanti combattimenti, resi in modo abbastanza unico. Anche il combat system risente di questa concezione di realismo ed è ispirato alla scherma medievale.
Esso si sviluppa in modo abbastanza simile a quanto avviene in For Honor, ma con la grande differenza che qui ci si trova di fronte ad un prodotto single player, e quindi la difficoltà del combattimento vira a favore del giocatore. Come in For Honor, infatti, in combattimento ci si concentra su un target alla volta, ed è possibile colpirlo da cinque parti diverse: destra, sinistra, alto, basso destra e basso sinistra. Tuttavia, per parare è sufficiente premere “Q” (su PC) più o meno al momento giusto, senza dover dire al gioco in che posizione di parata mettersi. Più il tempismo della parata sarà buono, più alta sarà la possibilità di effettuare un contrattacco.
Kingdom Come prevede anche un sistema di combo: attaccando dalle direzioni giuste nella corretta sequenza verrà compiuta un’animazione diversa, più potente, che supera le difese del nemico. È anche possibile schivare, ma sembra essere meno efficace che parare.
Alla fin fine il combattimento, che all’inizio sembra difficilissimo, non è altro che questo. Padroneggiati i pochi comandi fondamentali e messe a memoria non più di due combinazioni (ma forse anche solo una), gli scontri diventeranno perfino troppo semplici. Anzi: saranno di certo troppo semplici nel momento in cui l’equipaggiamento del personaggio supera una certa soglia – nello specifico, è probabile che il punto di non ritorno sia rappresentato dall’ottenimento di una buona armatura, meglio se di piastre. Da quel momento in poi, quando l’esperienza del giocatore si fonde con quella del PG e con un equipaggiamento discreto, il gioco diventa, purtroppo, davvero troppo facile, e non fa altro che andare facilitandosi lungo l’endgame. In ogni caso, se avete bisogno di una mano per capire come funziona il combattimento abbiamo realizzato due guide video, una dedicata al sistema di contrattacco e combo e un’altra dedicata al 2v1.
Da segnalare l’infinita preferenza che gli sviluppatori hanno voluto accordare alle armi bianche piuttosto che all’arco: giocare esclusivamente da arciere è praticamente impossibile. Tuttavia, in più di un caso, soprattutto per iniziare l’ingaggio, l’arco si rivela un utile compagno di avventura e può fare la differenza tra un combattimento normale ed uno facilissimo. Tra l’altro, l’assenza di un mirino in mezzo allo schermo costringe ad un po’ di allenamento per diventare degli abili arcieri.
Altre skill e altro gameplay
Oltre al mero combattimento, il gioco offre una nutrita quantità di possibilità ulteriori per potenziarsi, livellare e generalmente sfruttare l’ottimo open world realizzato.
È possibile quindi scassinare le serrature, borseggiare le persone, creare pozioni di alchimia ed altro ancora. Ciascuno di questi atti si estrinseca attraverso un minigame, sempre ben realizzato. Per creare pozioni di alchimia si “cucineranno” fisicamente gli ingredienti ad un tavolo apposito; per affilare l’arma si farà andare la lama sulla cote, con delicatezza. Anche qui, però, si nota una curva di difficoltà poco bilanciata: scassinare, ad esempio, è inizialmente difficile al punto della frustrazione, ma poi, prese giusto due abilità giuste, diventa di una facilità disarmante.
In ogni caso queste possibilità secondarie, al di là del combattimento, sono poi ciò che rende veramente unico Kingdom Come, perché si uniscono ad un open world e ad un’intelligenza artificiale veramente ben realizzati e danno luogo a situazioni di gameplay emergente di grande valore.
Elementi da giuoco di ruolo
Il sistema di progressione del personaggio si sviluppa lungo una serie di abilità che salgono di livello con l’utilizzo. Ciascuna di esse contiene, al suo interno, dei perk che modificano il funzionamento di determinate meccaniche del gioco o facilitano la vita potenziandone altre. Lo stesso livello delle abilità influenza l’attitudine del personaggio a fare bene in quelle: salendo di livello nella spada lunga, i fendenti saranno migliori e consumeranno meno energia, ad esempio, anche al di là dei perk presi.
Qui, purtroppo, emerge un difetto: molti dei perk vengono percepiti come inutili, ed in effetti paiono proprio esserlo. I punti vengono quindi conservati per molti livelli, finchè non si sbloccano le abilità successive, così da avere un posto dove spenderli. Questo significa che lungo il tardo early game e l’inizio del mid game la progressione del personaggio quasi si arresta, in attesa di livellare al punto da poter sbloccare quelle abilità veramente utili per le quali è opportuno spendere i punti. La diretta conseguenza di ciò ha a che fare di nuovo con la curva di difficoltà: si arriva ad un punto di quasi frustrazione per poi, quasi improvvisamente, diventare fortissimi.
Inoltre, non è mai bello quando la progressione del personaggio non si riverbera direttamente in un incremento delle sua capacità: piace a tutti sentirsi piano piano sempre più forti. È la base dei sistemi di progressione di qualunque gioco di ruolo. Non è bene che improvvisamente da pezzenti si diventi fortissimi: la progressione è buona quando è (più o meno) costante, e si accompagna al crescere della difficoltà dell’avventura. Purtroppo, in Kingdom Come questo non avviene.
Altri elementi da gioco di ruolo, al di là delle statistiche, si rinvengono nella possibilità di influenzare con le nostre scelte gli avvenimenti del mondo e del personaggio giocante, Henry, appunto, il figlio del fabbro. I soliti dialoghi con le solite scelte si accompagnano ad alcune quest interessanti, comprensive di romance. Niente di particolare, comunque, da questo punto di vista: altri prodotti hanno fatto decisamente meglio, anche se va segnalato come sia decisamente più difficile creare una storia avvincente e delle sidequest eccellenti quando la base è quella di un Medioevo boemo iper-realistico, in cui non esistono draghi né streghe. Paradossalmente, una delle migliori quest riguarda proprio un presunto oggetto magico: un teschio di un diavolo, con corna annesse.
Infine, riguardo ai problemi di cui si accennava prima, è sicuramente vero che Kingdom Come è uscito con diversi bug, ma bisogna segnalare che Warhorse Studios sta aggiornando il suo prodotto con numerose patch. Dal lancio ad oggi sono già arrivate diverse patch correttive, che hanno ad esempio migliorato l’ottimizzazione e il minigame di scassinamento, mentre la patch 1.4.2, che dovrebbe risolvere i crash e fixare vari bug, è appena uscita su PC.
CONSIDERAZIONI FINALI
Kingdom Come: Deliverance è un gioco di grande spessore. L’RPG single player di Warhorse Studios è dotato di un open world forse un po’ piccolo ma molto curato, con la quantità giusta di cose da fare e delle buone possibilità date al giocatore per scolpirlo.
L’interessante sistema di combattimento soffre come tutto il gioco di una curva di difficoltà mal calibrata, ma è un difetto quasi trascurabile se si intende Kingdom Come come la realizzazione di una sorta di simulazione medievale in cui il giocatore è sì protagonista di un’avventura, ma la vive realisticamente in prima persona senza strafare e senza essere fin dall’inizio l’eroe di cui tutti hanno bisogno.
Le routine dei personaggi, il feeling generale, l’open world e la grafica, sorvolando sull’ottimizzazione, rendono Kingdom Come un prodotto di valore. Anche i suoi difetti, non proprio secondari, possono comunque essere messi in secondo piano rispetto ai numerosi pregi.
Da un eventuale Kingdom Come 2 ci si augurerebbe una miglioria tecnica del motore grafico, un mondo più grande e sicuramente un sistema di progressione molto migliore, unito ad una curva di difficoltà più pensata e bilanciata.
L’acquisto è consigliato, non fosse altro che per provare qualcosa di coraggioso e diverso rispetto agli RPG classici che da anni vengono propinati quasi sempre uguali.
Ad Asczor piace videogiocare e soprattutto videogiocare bene. I giochi per lui vanno fruiti sfruttandoli fino in fondo al meglio delle proprie capacità. È per questo che Asczor s’incazza, e non poco, quando i giochi non rispettano i suoi standard di qualità. Però ha sempre le sue buone ragioni per farlo e, al contrario, non manca mai di lodare i giochi meritevoli. Peccato che siano davvero pochi.
gioco molto bello avrei gradito che una modalità coop anche solo a 2 player sarebbe stato il top..
i bug sono moltissimi, troppi sopratutto se cominci a giocare fuori dagli schemi, graficamente è carino ma niente di esagerato e i modelli dei personaggi sono orridi con animazioni pessime, pure il combat system è legnoso (sempre per via delle pessime animazioni). Non lo metto in croce, ha i suoi punti di forza ma non riesco a trovare una recensione che esponga il titolo al 100% per come è ora,cioè un titolo da 20 euro massimo e con molta anzi troppa strada per diventare giocabile, non si può premiare un titolo che esce a prezzo pieno in uno stato cosi pietoso. E il fatto che sia prodotto da una software house piccola non è una scusante… se un gioco è fatto male, è fatto male sia che lo produca ubisoft – Ea – o piccoli produttori indie.
RPG stupendo. Era dai tempi di Skyrim che un gioco non mi prendeva così tanto, manco TW3. La cosa più bella è il crescere assieme al proprio PG. Non come in Skyrim. In Skyrim si diventa uber powa in men che non si dica. Non hai il tempo di apprezzare la fase in cui sei un nabbo totale e poi diventi dio in terra. Qui si. E poi: il fatto che le armi richiedano un certo livello di stats per essere adoperate rende il tutto meno easy che su Skyrim, dove se trovi l’arma di dio fin da subito hai già finito il gioco… tutti si son lamentati della difficoltà eccessiva del titolo, della mancanza di free save e altre amenità, ma basta progredire per produrre e comprare grappe a volontà, per avere i servigi delle donzelle dei bagni a gratis e letti un po’ ovunque. Il combat poi migliora drasticamente una volta ottenuta la prima armatura completa. Dialoghi superlativi, quest al 99% intriganti e ben fatte, skill tree ampio e variegato, combat system che richiede un minimo di skill (non quella roba passiva e senza feeling alla skyrim o TW3). Le uniche pecche sono (erano) a livello tecnico: il… Read more »